A che punto è la digitalizzazione delle imprese italiane? Bella domanda. E se vogliamo, un po’ complicata: perché, oltre a una difficoltà congenita del mondo imprenditoriale manifatturiero del Belpaese, si è messo di mezzo anche l’effetto Covid-19, rallentando tutto ciò che di buono era stato realizzato fino all’alba del 2020. Però, non è il caso di essere pessimisti. Più di un motivo per pensare positivo lo si sta avendo in questi ultimi giorni, dal 4 al 6 novembre, in occasione del “NuovamacutLive021. Digital Edition”, organizzato, appunto, da Nuovamacut Automazione Spa (società del gruppo TeamSystem), leader nell’ambito delle tecnologie a supporto dei processi aziendali dalla progettazione e sviluppo prodotto alla gestione di dati e informazioni. Cosa viene fuori dalla ricerca eseguita da Idc (la prima società mondiale di market intelligence, servizi di advisory ed eventi nell’ambito digitale e Ict) su un campione di ottocento società del comparto manifatturiero, e i cui dati sono stati resi disponibili da TS Nuovamacut in occasione del suo Live021? Che la tecnologia ha creato nuove possibilità di crescita nel campo della digitalizzazione, ma occorre prepararsi in tempo e farsi trovare pronti. Come dimostrano i racconti di casi di successo (dei quali parleremo più avanti) di tre importanti aziende, Toyota, Everex e Acma (del Gruppo Coesia), che si avvalgono del supporto di TS Nuovamacut per l’implementazione dell’innovazione tecnologica.
Ma ecco un po’ di percentuali per capire meglio come siamo messi a seguito della emergenza sanitaria con conseguente crisi economica: il 70 per cento dei produttori prevede di adattare la propria roadmap tecnologica per rispondere in modo adeguato alla diffusione della pandemia da Covid-19; ed il 47% di questi investirà in tecnologie per colmare il gap della loro trasformazione digitale, mentre il 23 per cento intende investire in tecnologia per conquistare nuove quote di mercato. Con più della metà delle aziende intervistate (un buon 54%) disponibile allo smartworking. Ora, man mano che si scende nelle percentuali, notiamo una forte volontà di diversificare la propria voglia di innovazione, a seconda delle rispettive esigenze: tra queste imprese, infatti, vien fuori che il 16% investirà in tecnologie per mitigare l’impatto della recessione e l’8% per riuscire ad introdurre nuovi modelli di business dirompenti. Cosa vuol dire tutto questo? «Le aziende che avevano un processo di fabbrica maggiormente sviluppato, hanno subito meno l’impatto della crisi, perché si sono organizzate in modo più rapido: i loro investimenti sono andati nella direzione di integrare la fabbrica con la supply – chain. Insomma, quando tutti vanno male, si può cercare di essere un po’ più bravi degli altri, guadagnando quote di mercato che si liberano», risponde Lorenzo Veronesi, Research manager Idc ed esperto per i mercati produttivi europei, africani e mediorientali. Ricordando che soltanto il 6 per cento di imprese intervistate ritiene di non dover investire in innovazione tecnologica, alla fine chi ha lavorato virtuosamente negli ultimi cinque, sei anni nel campo della trasformazione digitale, ha retto meglio economicamente.
«Coloro che, dal 2013 al 2019, hanno investito in innovazione tecnologica, sono riusciti a registrare un aumento del fatturato: il loro tasso di crescita si attesta intorno al 3,7 per cento, rispetto alo 0,6 di coloro che hanno ritenuto non fosse necessario», aggiunge Veronesi, il quale, sottolineando una risposta in percentuali ancora più convincente intorno alla domanda-tema della ricerca. «Abbiamo registrato una forte volontà delle aziende ad investire in innovazione, assumendosi persino dei rischi: il 20% di esse, per esempio, investirebbe in tecnologia e digitalizzazione in modo ‘aggressivo’, senza la certezza che la cosa funzioni: e solo per il 10 per cento delle imprese, l’implementazione tecnologia può attendere».
Infine, i casi di successo delle tre aziende, Everex, Toyota e Coesia, raccontati, rispettivamente, da Lorenzo Balli, Patrick Malservisi e Federico Testarella, concordi nel ricordare che l’innovazione tecnologica deve avvenire nel rispetto della sostenibilità: in pratica, la digitalizzazione non si sostituisce alle persone, ma migliora i processi produttivi. Per Everex, aver investito in tempi non sospetti nella stampante 3d Hp, le ha permesso di implementare i prototipi delle apparecchiature per le analisi diagnostiche in vitro. In soldoni? Il fatturato di fine 2020 dovrebbe registrare un più 25 per cento rispetto all’anno precedente. Per Toyota, invece, c’è, dietro l’angolo, la possibilità di affidarsi a un software in grado di ottimizzare tempi e costi nella realizzazione di un progetto. Infine, per Acma (Coesia), il miglioramento dei propri processi produttivi è avvenuto grazie all’applicazione del Digital Twin, che consente di eseguire test continui senza intervenire sul prodotto reale. Risparmiando tempo, energia e risorse.